
I confini del caos. I limiti del potere di Dio.
Dio unico, Dio infinito, Dio onnipotente… Questo è quello che ci è sempre stato insegnato. Un principio che, per l’appunto, è un dogma di fede. Tutto tranquillo, quindi?
In realtà la cosa non è così semplice soprattutto quando è la stessa Bibbia a mettere dei paletti al regno di Dio, il cui potere, se ben guardiamo, non è proprio così universale. Qua e là, nel testo sacro, emergono riferimenti al fatto che ci sono parti del cosmo sui quali non solo Dio non ha giurisdizione, ma che proprio pare non gli appartengano. Insomma, il Regno di Dio ha dei limiti ben precisi, dei confini che lo separano da un altro mondo, un’altra entità. Quella del Nemico, della morte, del caos.
A ben vedere, tutta la storia del cosmo, dalla sua creazione alla sua fine, si risolve nel confronto fra queste due polarità opposte, ordine e caos, Dio e l’anti-Dio, e dal loro precario equilibrio.
Una premessa, anzitutto. Con buona pace di coloro che ancora si ostinano a sostenere la validità storica della Bibbia e continuano imperterriti con frasi tipo “La Bibbia aveva ragione” e così via, la realtà è decisamente diversa.
Soprattutto dopo quello che è emerso negli ultimi decenni e che continua a emergere dall’esegesi del testo biblico, dagli scavi archeologici, dagli studi di linguistica comparata e soprattutto da quando abbiamo iniziato a studiare la storia del popolo d’Israele non solo come appendice della Bibbia ma inserendola correttamente nel più generale contesto semitico e fenicio.
La Bibbia non può venire citata fra le fonti dirette per la ricostruzione storica di Israele perché, prima di tutto, pur utilizzando anche testimonianze più antiche, è un insieme di testi relativamente recenti. Molto probabilmente di epoca ellenistica, ma non dobbiamo neanche dimenticare che il testo ebraico di riferimento, quello masoretico ha poco più di mille anni. La Bibbia è in ogni caso un testo molto manomesso ed è stata compilata con una prospettiva particolare e consapevole che non aveva più niente a che fare con l’ebraismo antico. Quello che oggi possediamo è un testo frutto di innumerevoli reinterpretazioni ed emendamenti. Se non di vera e propria riscrittura.
Qui non è il caso di andare oltre questi cenni vista la vastità dell’argomento. Quello che possiamo sicuramente affermare è che la Bibbia non è assolutamente congrua con gli eventi e la mentalità che pretende di descrivere.
La stessa storia di Israele, da Abramo all’Esodo, tanto per intenderci, potrebbe benissimo essere un falso e una ricostruzione artificiosa realizzata da una casta sacerdotale per i propri scopi teologici e non solo. Si tratta di una ricostruzione e coerente con l’immagine che questa casta voleva dare di sé e della narrativa che voleva imporre. Una casta che reinterpreta le proprie radici e occulta molti dettagli e pratiche che noi sappiamo essere comuni invece nel Vicino Oriente antico e anche nell’area palestinese.
Non che elementi più antichi non emergano, intendiamoci, ma il testo biblico è talmente manomesso che non è semplice a volte, se non impossibile, comprendere il messaggio originario. Così com’è difficile ricostruire il pensiero teologico e la mentalità degli ebrei più antichi. E sapere come esattamente, in una fase più arcaica, gli ebrei concepissero il loro Dio, o addirittura i loro dei.
Eppure questi elementi ci sono. Ed elementi mitici, che risalgono a un tempo remoto, si trovano in discreta quantità anche in un testo, come la Bibbia, che cerca di presentarsi come storico. E non li troviamo solo nei primi capitoli della Genesi, come ci si potrebbe aspettare, ma anche ad esempio nei testi profetici, nei salmi, nel libro di Giobbe, il che testimonia la grande capacità di sopravvivenza di queste narrazioni mitiche.
C’è da dire che gli ebrei dei tempi più antichi, come i loro vicini, non concepivano la morte come un fato inspiegabile e astratto, ma come un nemico individualmente caratterizzato. E i semiti di Canaan, e quindi le popolazioni fenicie, dell’antica Ugarit e via di questo passo la raffiguravano come una divinità che si chiamava Mot.
Mot, la morte, è un nemico che abita in un luogo ben determinato, lo sheol, il mondo sotterraneo, gli inferi. Spesso si sente dire che gli ebrei concepivano l’aldilà come un luogo di non-esistenza oppure di sofferenza a causa dal distacco da Yhwh. Ma, in questo caso, non facciamo altro che proiettare sui documenti antichi una mentalità molto più tarda. La realtà era sicuramente molto diversa.
Inoltre, se i morti non possono nuocere, questo non spiegherebbe, l’atteggiamento ostile di Dio nei confronti dei morti, come emergerebbe da alcuni passi dove Dio interviene addirittura con violenza nei confronti dei defunti. Il che pare sconcertante, vista la loro presunta incapacità di nuocere.
“I morti non vivranno più, i refaim non si leveranno più, poiché tu li hai puniti e sterminati, tu hai fatto perdere di essi ogni ricordo” (Isaia 26,14)
“I refaim tremano sottoterra, le acque e i loro abitanti; lo sheol è scoperto davanti a lui, non ha riparo Abaddon” (Giobbe 26,5)
Da questo e da altri passi, possiamo ricavare che lo sheol, il mondo dei morti, è in un certo senso qualcosa di indipendente da Dio ed estraneo alla sua creazione. Si tratta del regno del caos e della morte che si trova ai margini del mondo creato da Dio e che, anzi costituisce una minaccia costante contro la creazione ordinata. Da questo punto di vista, la lotta di Dio contro Mot, la morte, può essere vista come il combattimento fra le forze del caos e la potenza ordinatrice di Dio che ha reso possibile la “creazione” del mondo. Con questo atto, Dio ha limitato il potere del caos, lo ha limitato ai confini della creazione, ma non è riuscito ad annientarlo.
Morire, per la Bibbia significa venire strappati dal nostro mondo ordinato per entrare in un mondo diverso, caotico e estraneo alla giurisdizione, al potere di Yhwh.
In qualsiasi momento i poteri del caos potrebbero nuovamente prevalere annullando il potere della creazione e richiedendo una nuova lotta fra Dio e il Nemico. Si tratta insomma di una lotta perpetua che determina l’esistenza stessa del mondo e alla quale nessuno è estraneo. Come recita il libro della Sapienza (1, 12-14):
“Non provocate la morte con gli errori della vostra vita, non attiratevi la rovina con le opere delle vostre mani, perché Dio non ha creato la morte e non gode della rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza; le creature del mondo sono sane, in esse non c’è veleno di morte, né gli inferi regnano sulla terra.”
La domanda che sorge spontanea è: Se Dio non ne ha responsabilità, chi ha creato allora la morte? È ovvio che, come accadeva in tutte le altre culture del Vicino Oriente antico, anche per il popolo di Israele entrava in gioco qualche altra entità in competizione con Dio. E quello di cui stiamo parlando, e di cui parleremo più in dettaglio fra poco, è una traccia evidente di una mitologia molto antica di quando l’ebraismo abbracciava il politeismo e che gli interventi successivi non sono riusciti a cancellare completamente.
Ritornando al mondo dei morti, esso era invece molto importante nella cosmologia ebraica, così come anche in quella mesopotamica ed egiziana. Semplificando, possiamo affermare che il mondo dei morti è la controparte di quello dei vivi e i due regni si trovano, più che in competizione, in una situazione di equilibrio che però può venire meno quando gli abitanti di un mondo decidono di invadere l’altro. Sul regno dei morti, Yhwh non ha alcuna giurisdizione.
Il regno dei morti è governato da altre divinità che a un certo punto vengono identificate con un’unica figura, il Nemico. Quel Nemico che è in lotta con Yhwh da sempre e che cerca di strappargli pezzi del suo territorio invadendolo con il caos. È già tutto chiaro nelle primissime righe della Genesi dove Dio si aggira sul caos iniziale, che viene descritti con le parole tōhû wa-bōhû, che normalmente si traduce con “[la terra era] informe e deserta”, ma che possono benissimo essere stati un tempo i nomi di due divinità contrapposte a Dio.
La tradizione giudaica ha cercato nel tempo di attenuare il dualismo introducendo la figura di Satana che è pur sempre una creatura di Dio. Ma il dualismo non è mai completamente scomparso e, ripetiamo, doveva essere la realtà di una fase più antica della riflessione teologica ebraica.
La cosa interessante è che i morti diventano i cittadini di questo mondo contrapposto a Dio (che è, come dice la Bibbia) il “dio dei vivi”, ovvero finiscono in questo regno che rappresenta il caos in tutti i suoi aspetti distruttivi e che si oppone alla creazione del mondo e all’ordine di Dio. Anzi, potremmo anche affermare che esso, come tōhû wa-bōhû preesista o sia contemporaneo a Dio stesso.
Insomma, il regno della morte cerca continuamente di espandersi e circonda da tutte le parti il regno di Yhwh. I punti più problematici per Dio, ovviamente, sono i confini fra i due regni che sono in particolare, come vedremo più avanti, il mare e il deserto.
I miti più antichi non parlano di una creazione dal nulla. Il primo atto della creazione è porre un confine, effettuare una separazione. Il caos increato deve essere limitato, contenuto entro limiti ben precisi. Questo atto di divisione, di separazione si ritrova un po’ in tutti i miti della creazione. Talvolta assistiamo a una vera e propria lotta fra il dio creatore e il caos primordiale.
Molti passi della Bibbia sono assolutamente chiari al riguardo:
Prendiamo ad esempio Giobbe 38, 8-11:
“Chi ha chiuso tra due porte il mare quando erompendo usciva dal grembo materno? […] E gli ho fissato un limite e gli ho messo chiavistello e porte e ho detto «Fin qui giungerai e non oltre e qui si volgerà nella superbia delle tue onde»”
Lo stesso concetto si può leggere nel Salmo 104, 5-9:
“Hai fondato la terra sulle sue basi, non vacillerà mai. L’abisso come un vestito la copriva, sopra i monti stavano le acque. Davanti alla tua minaccia sono fuggite, alla voce del tuo tuono hanno tremato. Hanno salito i monti, hanno sceso le valli fino al luogo che tu hai stabilito per loro. Hai posto un confine e non lo passeranno, non torneranno più a coprire la terra”.
Da questi passi si evince che il mare e le sue acque vengono percepiti come entità ostili e personali, la cui “superbia”, o “orgoglio”, viene contenuta da Dio nei limiti necessari per la sopravvivenza del cosmo.
Lo stesso traspare dal racconto della creazione di Genesi dove viene descritto lo stato di caos diffuso e indistinto, “la terra era tōhû wa-bōhû”, “informe e deserta”. E l’azione creatrice si svolge mediante separazione. Quella della luce dalle tenebre, delle acque superiori da quelle inferiori. Infine Dio ordina alle acque di raccogliersi in un solo luogo in modo che appaia l’asciutto.
Possiamo citare anche il Salmo 74, 13-17:
“Tu hai diviso il mare con la tua forza, hai schiacciato le teste dei tanninim sulle acque. Tu hai spezzato le teste del Leviatano, lo hai dato in pasto al popolo, ai ṣiyyîm. Tu hai aperto sorgenti e torrente, hai prosciugato fiumi perenni. Tuo è il giorno e tua è la notte, la luna e il sole tu li hai fissati. Tu hai stabilito tutti i confini della terra, l’estate e l’inverno tu li hai plasmati.”
I confini della terra sono qui intesi in senso molto concreto per indicare le barriere concrete che trattengono all’esterno le forze del caos.
Leggiamo nel libro dei Proverbi (8,24-29) che riprende la narrazione tradizionale nella quale la Sapienza racconta di come essa si trovasse al fianco di Yhwh fino dalla creazione del mondo:
“Da quando non esistevano gli abissi sono stata partorita, da prima delle sorgenti cariche d’acqua; prima che fossero fondati i monti, prima delle alture sono stata partorita. […] Quando creò il cielo io ero là, quando tracciava un cerchio sulla superficie di tehom [l’abisso]; quando imponeva al mare il suo limite perché le acque non oltrepassassero la sua soglia; quando fissava le fondamenta della terra”.
Questo passo può venire associato a un altro tratto dal libro di Geremia (5,22):
“Non temerete me, oracolo del Signore, non tremerete davanti a me che ho posto la sabbia come confine per il mare, un limite eterno e non lo varcherà? Si agiteranno le sue onde ma non potranno (superarlo), rumoreggeranno ma non passeranno”.
Insomma, Yhwh crea il mondo fissando un confine per limitare il potere del caos. Concetto espresso molto chiaramente nel libro di Giobbe (26, 10):
“Ho tracciato un cerchio sulle acque, sino al confine tra la luce e le tenebre”.
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Questa immagine, quello di Dio con il compasso in mano, si ritrova in molte miniature medievali. Mentre Dio viene interpretato come “architetto del cosmo”. In realtà il senso, come abbiamo rilevato, è abbastanza diverso
Un’altra immagine che nella Bibbia descrive la creazione come limitazione del potere del caos è quello di Yhwh che sigilla l’ingresso dell’abisso. La tradizione giudaica successiva ha voluto mettere in rapporto questo fatto con la “pietra della fondazione” sulla quale Dio avrebbe poi costruito il mondo. E a essa probabilmente si allude con la “pietra angolare” che viene posizionata da Dio al momento della creazione.
Ritroviamo, per esempio, questo concetto nel libro di Giobbe (38,4 e 38,6):
“Dov’eri tu quando io ponevo le fondamenta della terra? […] Dove sono fissate le sue basi o chi ha posto la sua pietra angolare?”
Il Talmud e la tradizione giudaica identificano con questa “prima pietra” la roccia su cui è costruito il Tempio di Gerusalemme e che rappresenta il segno tangibile della vittoria di Dio ai tempi della creazione e della sottomissione del Nemico che ancora persiste. Giova appena ricordare che la roccia del Tempio conserva ancora oggi una cavità sotterranea sotto la Cupola della Roccia, ben nota come il “pozzo delle anime”.
Ricordiamo anche che il concetto della pietra di fondazione che serve anche a contenere le forze del male si ritrova anche nel contestato passo nel quale Gesù “investe” Pietro:
“Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16, 18).
Sotto entrambi gli aspetti, come abbiamo visto, il passo evangelico è molto più “ebraico” di quanto possa apparire a prima vista. E non per nulla, Matteo è l’evangelista che più degli altri ha voluto presentare la predicazione di Gesù come conseguenza e completamento delle profezie del Vecchio Testamento.
Un ulteriore concetto con il quale la Bibbia esprime il concetto di confine fra ordine (il regno di Dio) e il caos (il regno del Nemico) è quello delle porte. Nella Bibbia vengono menzionate le porte con cui viene trattenuto il mare (Giobbe 38,8), ma anche le porte della morte (Giobbe 38,17; Salmo 9,14 e Salmo107,18), i chiavistelli della “terra” nel senso di “inferi” (Giona 2,7). Tutte queste sembrano espressioni equivalenti per indicare i portali di bronzo chiusi da sbarre di ferro che trattengono le forze del caos (cfr, Salmo 107, 16).
Un’eco si trova nei miti antichi e nella letteratura posteriore, in particolare nella versione siriaca del Romanzo di Alessandro, nel quale si narra che il re macedone, giunto ai limiti settentrionali del mondo, avesse edificato una grande porta di bronzo con due chiavistelli. Tale porta sarebbe poi dovuta essere distrutta dopo 940 anni, dalla collera divina a causa dei peccati degli uomini.
Questo il Romanzo di Alessandro. Secondo alcuni studiosi che si rifanno a un oscuro passo di Isaia (27,1) il custode di questa porta sarebbe il Leviatano, il serpente demoniaco che rappresenta il caos e che, bloccando le porte dell’inferno, impedisce ai defunti di fuggire dallo sheol. L’ultimo atto di Dio, alla fine dei tempi, come si evince anche dall’Apocalisse, sarà quello di uccidere il Dragone, il Leviatano, per penetrare definitivamente nel regno del Nemico.
C’è da dire che, se il passo di Isaia è dubbio, la tradizione giudaica successiva sembrerebbe confermare il ruolo del Leviatano come custode dei confini. Nel libro di Enoc (60,13), un testo fondamentale per la definizione del concetto cristiano di diavolo, si racconta che Dio, o uno spirito da lui delegato, tiene sotto controllo il Leviatano. Ogni tanto il mostro riesce ad allentare il suo rapporto e si formano le maree. Questo sconfinamento, seppur momentaneo, delle acque del caos testimonia della posizione del Leviatano che si troverebbe proprio su quel confine voluto da Dio e che trattiene le acque.
Che in ogni caso il Leviatano, il mostro marino, si trovi sul limite che dovrebbe trattenerlo, si ricava indirettamente anche dall’Apocalisse che implicitamente pare affermare che il suo posto sia sull’orlo dell’Abisso.
“Vidi poi un angelo che scendeva dal cielo con la chiave dell’Abisso e una grande catena in mano. Afferrò il dragone, il serpente antico – cioè i diavolo, satana – e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell’abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni”. (Ap 20,1-3)
Dopo quanto abbiamo detto finora e quanto emerge dalla stessa Bibbia, possiamo giungere a due conclusioni:
1) Le forze ostili a Dio esistevano già prima della creazione e quindi sono equivalenti a Yhwh perché, esattamente come lui, sono increate ed eterne.
2) La lotta cosmogonica, cioè quella delle origini del cosmo non permette a Dio di eliminare completamente la potenza delle forze del caos, ma si limita a trattenerla entro determinati confini
Insomma, il potere di Dio non è assoluto ma ha dei confini. E questi confini sono determinati dal conflitto in corso fra Yhwh e il suo avversario. I confini separano il regno di Dio e il regno del Nemico, sul quale Dio non ha alcun potere.
L’evoluzione del pensiero religioso di Israele è stato un percorso dal politeismo di tipo semitico, cui apparteneva anche Yhwh, a un monoteismo sempre più accentuato. Eppure, come vediamo, questa evoluzione non è riuscita ad eliminare la presenza del caos, ovvero della morte e del male. Se non è dualismo, questo, sicuramente non siamo molto distanti. La presenza del male è un problema irrisolvibile e mal conciliabile con la pretesa di un Dio unico.
Abbiamo già visto come il Talmud e la tradizione giudaica identifichino con la “prima pietra” di Dio la roccia su cui è costruito il Tempio di Gerusalemme, “prima pietra” che serve a trattenere al loro posto le forze infernali e del caos. Il Tempio, quindi, rappresenta il segno tangibile della vittoria di Dio ai tempi della creazione e della sottomissione del Nemico che ancora persiste. Ricordiamo che la roccia del Tempio conserva ancora oggi una cavità sotterranea sotto la Cupola della Roccia, ben nota come il “pozzo delle anime”.
Il Tempio rappresenta anche il centro, l’ombelico del mondo. Non per nulla la tradizione biblica prima e giudaica poi tendono a identificare il monte di Sion con molti eventi fondamentali per la storia di Israele. Identificando, ad esempio, il luogo di edificazione del Tempio con il Monte Moriah, luogo del sacrificio di Isacco.
Leggiamo, ad esempio, nel secondo libro delle Cronache 3,1:
“Salomone cominciò a costruire il tempio del signore in Gerusalemme sul monte Moriah, dove il Signore era apparso a Davide suo padre nel luogo preparato da Davide sull’aia di Ornan il Gebuseo”.
Si tratta di quello che potremmo definire un fenomeno di transfert, visto che questa frase che abbiamo appena letto proietta sul tempio di Gerusalemme altri due luoghi sacri: quello dove Abramo ha compiuto il sacrificio del figlio Isacco e quello quello dove Davide avrebbe eretto un altare per fermare la pestilenza mandata da Yahweh (1 Cronache 21,18-26). Nella letteratura giudaica più tarda, il luogo dove sorge il Tempio viene identificato con molti altri elementi, come l’offerta dei doni di Caino e Abele, oltre che il primo sacrificio offerto da Adamo e quello di Noè alla fine del diluvio, il sogno di Giacobbe, ecc. Sono tutti eventi che si sarebbero verificati nel centro del cosmo.
Se il Tempio di Gerusalemme è il centro del cosmo, esso è il fulcro dell’universo così come lo concepivano gli antichi ebrei. Il centro in senso verticale, anzitutto. Secondo la cosmologia simbolica ebraica, la sede di Dio è in alto, il luogo dove risiedono gli uomini in mezzo e il regno dei morti in basso.
Prendiamo, ad esempio, il Salmo 115 (16-17):
“Il cielo è il cielo di Yhwh e ha dato la terra a tutti gli uomini; non lodano Yhwh i morti, non (lo lodano) tutti coloro che sono scesi alla dûmā”
A parte il problema dell’ultimo termine, dûmā, che normalmente viene tradotto come “silenzio” ma che forse andrebbe meglio tradotto come “fortezza” nel senso di “cittadella dell’aldilà”, qui è interessante notare come il salmo stesso ribadisca che i morti “non lodano” Dio, quindi, non ne riconoscono l’autorità
Quest’area, come abbiamo già visto nella prima parte del video, non appartiene quindi a Dio, ma è il regno del Nemico.
Questa ripartizione viene ribadita da un altro passo, stavolta in Esodo (20,4):
“Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è nel cielo in alto, né di ciò che è nella terra in basso, né di ciò che è nell’acqua sotto la terra”.
Questo passo è significativo per due motivi.
1. La proibizione di costruire immagini di ciò che è nelle varie parti dell’universo, sembra esprimere, seppur in maniera velata, il divieto di adorare le divinità che vi abitano.
2. Il riferimento all’acqua sottoterra ribadisce ancora l’identificazione fra caos, ovvero regno dei morti e del Nemico, e acqua, come abbiamo già visto con il mare che viene trattenuto a fatica da Yhwh e relegato al di fuori del creato.
Sarà Paolo, nella lettera ai Filippesi (2,10) affermerà che solo con Cristo la sottomissione dei tre regni sarà totale.
“[…] affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio degli esseri celesti, terrestri e infernali”.
Ma con Paolo, ovviamente, siamo in un contesto già molto diverso.
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Le tre zone dell’universo sono collegate da un asse verticale che passa per la montagna del Tempio che rappresenta, come abbiamo visto, il centro dell’universo. In figura, una schematizzazione della rappresentazione del cosmo come lo concepivano gli antichi ebrei. Si tratta di una grande architettura della quale si trova traccia ancora nell’architettura romanica. Argomento che abbiamo già affrontato in precedenza.
Ma il centro dell’universo, l’ombelico del mondo da cui, nel mondo simbolico ebraico, è anche il luogo dove la creazione ha avuto inizio. Da questo punto, dal monte del tempio, questa forza creatrice si irradia sulla creazione, con il risultato che man mano ci si allontana da questo punto, la forza ordinatrice di Dio si attenua fino a giungere al regno del caos. Si avanza per cerchi concentrici fino ad arrivare a lambire il regno del caos primordiale.
Quella fino a ora esposta, a ben vedere, è una concezione condivisa anche dai regni terreni. Per le culture antiche, normalmente il rappresentante di Dio sulla terra è il re. Difendere il proprio regno dai nemici, dalla siccità, dalle alluvioni, eccetera significa anche arginare il caos distruttivo. Se queste forze valicano il confine, è segno che il re non sta adempiendo correttamente alle sue funzioni.
In una parte considerevole di culture, anche in quelle mediterranee e del Vicino Oriente, si prestava addirittura molta attenzione all’efficienza fisica del re con vari sistemi. Quando questa veniva meno, il re veniva semplicemente eliminato. Chi ha letto Il ramo d’oro di James Frazer, ha senz’altro presente quanto questo atteggiamento sia stato comune in pratica a tutte le culture fino a tempi relativamente recenti.
In questi contesti, si prestava attenzione, comunque, anche al fatto che il sovrano si trovasse sempre in una situazione di purità che veniva considerata fondamentale per il mantenimento dell’ordine cosmico o, quanto meno di quello del suo regno. Nella stessa Bibbia ci sono molti esempi nei quali una trasgressione, anche involontaria, da parte del sovrano, attirava sciagure sul suo popolo.
Un esempio lo troviamo in Genesi 20,1-8, In questo episodio, il re Abimelek tratto in inganno da Abramo che l’aveva presentata come sua sorella, avanza delle pretese nei confronti di Sara che è invece sua moglie. In questo modo, seppur in buona fede, il re si era macchiato di una colpa mortale per lui e per il suo popolo. E, una volta venuto a conoscenza della verità così si rivolge ad Abramo:
“Che colpa ho commesso contro di te perché tu abbia esposto me e il mio regno a un peccato tanto grande?” (Genesi 20,9)
Tutte le donne della famiglia reale erano diventate sterili e Dio stesso aveva minacciato Abimelek e i suoi di morte.
Più in generale, allargandoci a un contesto più ampio di quello biblico, un atteggiamento sbagliato del re non si traduce semplicemente in una punizione inflitta dagli dei a un re per una mancanza di tipo morale, ma di situazioni che pongono, nel pensare comune, il re in una posizione di impurità e che, insomma, indeboliscono il potere del sovrano permettendo alle forze del caos di entrare nel regno e di turbare l’ordine che potremmo definire cosmico.
Diciamo che il ruolo del monarca, faraone o re che fosse, era quello di difendere e semmai rafforzare quelle barriere che sono state erette al momento della creazione e che difendono l’ordine divino dall’avanzare del caos.
Fra i compiti del re, anzi, c’era quello di sottrarre terreno al nemico, il caos, e di riguadagnarlo all’ordine della creazione. Uno dei titoli del faraone, ad esempio, era quello di colui che “estende i confini dell’Egitto”. Estendere i confini del regno, da questo punto di vista, viene visto come il personale contributo alla creazione da parte del sovrano che si rinnova ad ogni vittoria contro i nemici o contro le forze ostili e selvagge della natura. Il mantenimento dei confini era un elemento importante della regalità egiziana. Su una pietra di confine fatta porre dal faraone Sesostri III (1846-1839 a.C.) si legge:
“Chiunque dei miei figli manterrà questo confine, che la mia Maestà ha stabilito, costui è mio figlio, nato dalla mia Maestà. Esemplare è il figlio che sostiene suo padre e mantiene il confine del suo genitore. Ma chi lascia che esso cada e non combatte per esso, costui non è mio figlio e non è nato da me”.
Gli stessi concetti venivano fatti proprio dai sovrani dell’area mesopotamica. Le spedizioni dei re assiri, che si avventuravano in terre sempre più lontane e inesplorate venivano viste in chiave mitica, dove il re superava continuamente i limiti imposti dalla natura e dall’uomo. Le conquiste di nuove terre avevano, in definitiva, lo scopo di ampliare sempre più l’ordine minacciato da forze ostili e malvagie. Ogni stele posta in un luogo simbolico sempre più lontano e liminare rappresentava anche il confine del cosmo sul caos.
E a ribadire quest’opera di ampliamento, anche dal punto di vista simbolico, i materiali sottratti al nemico sconfitto venivano portati al tempio e ai palazzi che sorgevano al centro del cosmo, o addirittura venivano impiegati nella loro costruzione.
Naturalmente, bisogna che il regno venga equiparato al cosmo e che l’estensione dei confini del regno sia equiparato alla continuazione dell’opera di creazione. L’opera del sovrano è totalizzante e la sua opera abbraccia tutto il creato. Per gli egiziani il faraone era il “signore di ciò che è abbracciato dal disco solare”, mentre il sovrano mesopotamico era il “re delle quattro parti del mondo”.
Lo stesso capitava nel mondo ebraico. I confini del regno di Israele corrispondevano alla giurisdizione di Yhwh, oltre la quale iniziava il regno delle altre divinità. I confini di Israele erano i confini del cosmo, al di là vi era il caos, qualcosa di negativo, di demoniaco.
“Ogni luogo che calpesterà la pianta del vostro piede sarà vostro: dal deserto e il Libano, dal fiume Eufrate fino al mare ultimo sarà il vostro confine” (Deut 11,24).
Ne deriva che uscire dalla Palestina equivale a inoltrarsi nel regno della morte. Anche per questo, probabilmente, i pellegrini che si recavano a Gerusalemme, se residenti al di fuori della Palestina, dovevano sottoporsi a procedure di purificazione.
Lo stesso accadeva anche in ambito egiziano dove i paesi stranieri vengono spesso dipinti come luoghi di condanna e di esilio, condizione che veniva assimilata a una sorta di morte parziale. E i popoli africani e semitici che li abitavano venivano equiparati alle forze del caos.
Possiamo anche ipotizzare che anche la condizione di esilio del popolo di Israele, prima in Egitto e poi a Babilonia, possa essere letto in questa chiave. Da un punto di vista simbolico, diciamo, visto che la storicità di questi eventi viene sempre più messa in discussione. In ogni caso, il ritorno nella Terra promessa viene vista anche come la vittoria dell’ordine sul caos. E, non da ultimo, non possiamo non osservare che il ritorno sia dall’Egitto che da Babilonia preveda l’attraversamento del mare, lo Yam Suf, il biblico mare di canne, e soprattutto il deserto. Si tratta di zone di confine, aree liminari, luoghi dove inizia la dimensione del caos.
Così capita con il mare del Leviatano, il dragone dell’Apocalisse e il deserto, il luogo dei demoni e della perdizione. E forse, non a caso i Vangeli collocano proprio nel deserto il luogo della tentazione di Cristo. Dove, se non lì, in questo luogo di contatto fra mondi opposti, poteva mai nascondersi Satana?