Una chiesa nascosta e misteriosa per i delitti del Guardiano dei sigilli
Ci sono luoghi, nel centro di Firenze, che sfuggono ai turisti frettolosi presi dall’angoscia di non fare in tempo a concludere il loro tour de force imposto dai tour operators o dalle guide. Capita così, ad esempio, che ben poche persone fra la ressa infernale di Por Santa Maria ormai in vista di Ponte Vecchio senta il bisogno di gettare lo sguardo verso una piazzetta raccolta oltre la quale si intravede la facciata in pietra di una chiesa che incombe carica di secoli e di storia.
Ma già la parte inferiore di quella facciata, la più antica, come indica il colore verde e bianco dei marmi del portale, rimanda ad altri edifici del romanico fiorentino ben più celebri e frequentati. L’aspetto attuale della chiesa di Santo Stefano al Ponte Vecchio è il risultato di molteplici interventi che si sono susseguiti nel corso dei secoli. La leggenda la vuole già esistente ai tempi di Carlo Magno. Di sicuro è documentata nel 1116 e, da quel che si racconta fu proprio all’interno di questo edificio che si riunirono gli avversari di Buondelmonte de’ Buondelmonti nel 1215 per decidere come vendicarsi del torto subito. Il Buondelmonte, ricordiamolo, si era fidanzato con una donna di casa Amidei, per sanare una zuffa di pochi mesi prima. Quando Buondelmonte ruppe il fidanzamento perché si era nel frattempo innamorato di una donna di casa Donati, il mancato matrimonio fu visto come una terribile offesa per gli Amidei, i quali giurarono, per l’appunto, di vendicarsi. Buondelmonte fu sprezzantemente ucciso il giorno del suo matrimonio nei pressi della chiesa di Santo Stefano e questo fatto di sangue, nella narrazione del Villani, doveva condurre addirittura all’insorgere della tragica divisione fra guelfi e ghibellini che tanti lutti doveva portare alla città.
Semplice fantasia quella di Giovanni Villani, probabilmente. Ma pare che proprio lì nei pressi sorgesse una statua raffigurante forse il dio Marte e che sarebbe stata la causa delle violenze che da sempre insanguinavano e insanguinano la città, almeno fino a quando una provvidenziale alluvione, nel 1333, non se la portò via. Fino a giungere alle distruzioni operate dai tedeschi nel 1944 e alla tragica morte del parroco in seguito alle esplosioni.
Leggende, storie di delitti, misteri che queste mura costudiscono da secoli. E che costituiscono lo sfondo ideale del mio ultimo thriller, Il guardiano dei sigilli. Basta entrare e si rimane colpiti, disorientati dalla grande, addirittura ridondante scenografia del fondale di pietra grigia, la parte del presbiterio cui si giunge salendo la scalinata del Buontalenti i cui gradini ricordano due conchiglie o, meglio, le ali di un sinistro pipistrello.
Come tutte le scelte, però, ogni scelta di ambientazione per un libro non è dovuta al caso. Perché quella chiesa ho avuto occasione di conoscerla in ogni più ultimo dettaglio, essendone stato, da studente universitario, per un anno il custode, con l’ultimo parroco, prima che la chiesa di Santo Stefano al Ponte Vecchio, dopo una storia millenaria venisse sconsacrata.
Ogni riferimento, quindi è reale e verificabile. E l’atmosfera, l’aria stessa che Geremia Solaris respira, l’ho respirata io stesso. Così come il cortile e i gradini che conducono in canonica, la sagrestia dai mobili di legno intarsiati e antichi, l’altare marmoreo del Giambologna e persino gli altari laterali con le loro sepolture. E i l luoghi eventi terribili del racconto si possono davvero, per così dire, toccare con mano.
Invito, quindi, a visitare questo luogo incredibile e sconosciuto assieme alla lettura del libro. Magari porgendo l’attenzione a qualsiasi segno, magari un biglietto con una frase che tradisca la presenza di un assassino che si muove nell’ombra con le parole dell’Apocalisse di Giovanni. Rumore di passi felpati, sussurro di frasi dette all’interno di un confessionale, l’angoscia di una donna. Semplici fantasie? Oppure…