Una biblioteca eccezionale e un thriller. La Guarneriana e La biblioteca dei libri perduti
Quella che ho scelto come sfondo di “La biblioteca dei libri perduti” è una piccola biblioteca, per quanto antica. Una di quelle che ti fanno esclamare un gridolino di meraviglia quando entri in mezzo agli scaffali settecenteschi che si perdono oltre il legno di un ballatoio cui non si sa come arrivare e che proseguono oltre, fino a perdersi in un soffitto lontano. Tavoli antichi, vani segreti, volumi carichi di secoli e ordinatamente disposti sui ripiani di legno, ritratti di potenti e dotti prelati che ti guardano da lassù da chissà quanto tempo.
Un luogo affascinante, la Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli, fondata da un appassionato umanista del Quattrocento, Guarnerio d’Artegna, che, avendo scelto di riconoscere la propria figlia in modo da poterle concedere un matrimonio dignitoso, per questo rinunciò a una carriera ecclesiastica fulminante. E che quassù si ritirò continuando a ricopiare anche di suo pugno antichi manoscritti ma portandosi dietro la sua raccolta di preziosi volumi che poi, alla sua morte, donò alla comunità. Insomma una delle più antiche biblioteche pubbliche d’Italia.
Insomma un luogo da visitare, burocrazia permettendo, una biblioteca prestigiosa, ma come ce ne sono (per fortuna) tante in giro per la penisola e nei Paesi che circondano questa terra di confine. Eppure la Guarneriana custodisce non solo codici, ma anche storie incredibili. Ed ecco il perché di una scelta che altrimenti potrebbe risultare inspiegabile. La Biblioteca Guarneriana è un luogo davvero unico. Il famoso scrittore Jeffrey Deaver, impegnato in una sua presentazione in zona e che l’aveva visitata solo pochi giorni della mia, aveva sentenziato (cosa che mi è stata riferita): “Bisognerebbe davvero ambientare un thriller qui dentro”. Al che, la persona che gli faceva da guida, gli ha risposto: “Lo hanno appena scritto”. Un aneddoto che, ovviamente, mi piace ripetere.
E infatti, a parte il fascino quasi “gotico” dell’ambiente, la Guarneriana annovera alcune “presenze” davvero inquietanti e che non potevo non inserire nel mio libro, nel quale potrete trovare molto altro materiale su questo posto. Mi riferisco in particolare a due testi.
Partiamo dal primo. Nel primo volume della saga di Geremia Solaris, Il monastero dei delitti (Newton Compton), il grande inquisitore Accursio Bonfantini accusava la povera monaca fra le sue grinfie di possedere la Tabula Salomonis, ovvero un testo capace di evocare i demoni. Niente di nuovo, devo confessare, la Tabula Salomonis è l’unico testo citato, per la sua pericolosità, da Nicolas Eymerich, autore di un manuale che verrà utilizzato per molti secoli dagli inquisitori per la loro attività. Nonché contemporaneo dei fatti narrati nel mio libro. Giova riportare integralmente il passo del Manuale dell’Inquisitore (1376):
Bisogna distinguere tre tipi di invocazione al diavolo, se si vuol credere a quel libro chiamato La Tavola di Salomone, sul quale i demoni invocati prestano giuramento di dire la verità (esattamente come noi giuriamo sui Vangeli e i giudei sulle Tavole della Legge date da Dio a Mosè), libro che osa affermare la potenza di Lucifero e degli altri diavoli e che contiene abominevoli preghiere rivelate dallo stesso Lucifero e da altri diavoli.
La cosa veramente incredibile è che quando scrivevo Il monastero dei delitti non ero a conoscenza della presenza della Tabula Salomonis all’interno della Guarneriana. Luogo che, fra l’altro conoscevo, avendolo frequentato da ragazzo. Quando poi mi sono trovato ad approfondire l’argomento, grande è stata la mia sorpresa nel scoprire che quel testo si trovava effettivamente fra i codici a suo tempo in possesso di Guarnerio d’Artegna. Un segno del destino, indubbiamente, anche se e viene citato come Tabula fungonis. Ma non c’è alcun dubbio sulla sua natura.
Resta. ovviamente, da capire come avesse fatto Guarnerio ad entrarne in possesso e soprattutto per quali scopi. Di certo si trovava a Firenze in occasione del Concilio del 1439 al quale partecipò. Firenze, ricordo, era all’epoca il crocevia di esoteristi, negromanti, cultori di scienze arcane con la benevolenza addirittura dei Medici che spesso erano essi stessi appassionati di tali discipline. Citiamo, ad esempio Cosimo de’ Medici che fece tradurre da Marsilio Ficino il più importante testo di esoterismo, il Corpus Hermeticum attribuito a mitico Ermete Trismegisto, obbligando il Ficino a interrompere ogni altra sua attività e a premiarlo, alla fine, addirittura con una villa per il lavoro svolto. Oppure Francesco I che era talmente appassionato di alchimia da disdegnare le attività di governo. Oppure ancora Caterina de’ Medici diventata reggente di Francia e, appassionata di magia, secondo quanto si racconta non disdegnasse nemmeno le messe nere e i sacrifici di bambini.
Ma forse, il nostro Guarnerio, entrò semplicemente in contatto con i dignitari di Bisanzio e il loro seguito, venuti a Firenze in occasione del grande Concilio mentre il loro impero d’Oriente stava ormai cadendo in mano ai Turchi. A Firenze doveva girare molta paccottiglia orientale in quei giorni, autentica o meno che fosse, e chi poteva vendere qualcosa per mettere da parte qualche soldo in tempi sempre più cupi, lo faceva senza particolari remore. E Guarnerio era un appassionato collezionista e un uomo curioso. Anche se, tuttavia, doveva essere ben conscio, da uomo di cultura com’era, di essere in possesso di un documento proibito e sicuramente pericoloso. Che infatti ci è giunto nascosto assieme ad altri all’interno di un codice composito che contiene scritti molto diversi fra loro, una miscellanea nota come Codice Guarneriano 137.
Fa però uno strano effetto trovare un testo del genere nel quiete degli scaffali di una biblioteca persa in un piccola cittadina, tutto sommato, della campagna friulana. E fa davvero senso trovare un testo, di qualche secolo più tardo, scritto addirittura con il sangue. Sangue di una mistica, di una folle che pretendeva di ricevere le sue visioni direttamente da Dio e che finì i suoi giorni imprigionata dall’Inquisizione che proprio a San Daniele aveva una delle sue sedi. Ma andiamo per gradi.
Marta Fiascaris era nata a San Daniele nel 1610 e poco più che ventenne si era aggregata a un gruppo di pie donne sotto la guida del parroco. Se non che la Fiascaris cominciò ad avere delle visioni che il prete registrava con devozione. Mentre la sua fama andava crescendo nei dintorni attirando persone fin da lontano. La gerarchia ecclesiastica, anche per la frammentazione delle competenze, tardò a prendere posizione. Ma le sue tesi, il frutto delle sue visioni, implicavano la concezione di un Dio misericordioso, un Padre che non poteva permettere che i bambini nati senza battesimo finissero per ciò stesso condannati per l’eternità. Dio era solo amore e ci condannava esclusivamente per le nostre colpe. Per di più, la Fiascaris aveva espresso l’intenzione di fondare un ordine.
La situazione, visto il seguito della donna e i problemi di giurisdizione, appariva delicata. Gli emissari dei domenicani convinsero il parroco e Marta di essere caduti in errore e della necessità di presentarsi spontaneamente presso il tribunale, come avvenne nel 1639. La Fiascaris, giudicata come donna emotivamente instabile, venne invitata ad abbandonare le pratiche precedenti, a espiare e a vivere isolata.
Se non che, la donna dopo un po’ riprese a predicare imperterrita e continuò ad essere ascoltata e seguita, soprattutto da donne. Nel 1650 si giunse al processo e in quell’occasione fu prodotta una mole molto consistente di documentazione contro di lei. Stavolta la Fiascaris, stremata, si piegò al volere della gerarchia. Ma non poté evitare la prigione, in isolamento e in condizioni molto dure. Le vennero imputati ben 56 errori di fede. Nel 1653 venne abiurò, ma venne condannata a dieci anni di carcere, sentenza che le venne comunicata solo molti mesi dopo per timore di creare disordini fra le sue devote. Pochi anni dopo, molto malata, venne rimandata a San Daniele.
Si narra che in carcere alla Fiascaris venne vietato di scrivere, il che, per una donna che sentiva il bisogno di raccontare e raccogliere il contenuto delle sue visioni, era una privazione ancora più dolorosa di quella della libertà. Da donna ribelle e fuori dagli schemi imposti dal mondo maschile dell’epoca, si racconta che riuscì ugualmente a scrivere le sue confessioni. E, in mancanza dell’inchiostro, non esitò a usare il proprio sangue. Quella confessione, scritta con il sangue di questa donna, visionaria ed eretica o meno, è custodita qui, assieme ai documenti processuali. Assieme ai mille segreti di questa biblioteca incredibile.
Ricapitolando, la biblioteca Guarneriana è un posto ideale per ambientare un thriller. Che ha anche lo scopo, non ultimo, di farlo conoscere. Quindi, se ne avete voglia e vi fa piacere giocare fra la realtà e la fantasia, non posso che rinviarvi a La biblioteca dei libri perduti. E a invitarvi a prenotare una visita in questo luogo magico e inquietante. Per altre informazioni potete cliccare direttamente sul sito della biblioteca.